LE CITTA NON SONO FINITE NE’ INFINITE

Tommaso Goisis
6 min readJan 4, 2021

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Le mie riflessioni scaturite dalla lettura di Città dal Futuro, originale lavoro di interpretazione delle attualissime dinamiche urbane a cura di Davide Agazzi, Matteo Brambilla e Stefano Daelli.

Per me le grandi città hanno sempre avuto un che di magnetico e incredibilmente potente. Negli anni in cui l’assenza di virus e l’abbondanza di vacanze lo permetteva, ho viaggiato molto. E in ogni paese dove andassi, dedicavo sempre qualche giorno alla scoperta della capitale, prima di fuggire dalla città. Di Dakar ricordo l’asfalto delle vie centrali e la sabbia di quelle laterali, di Mumbai — a cui invece ho dedicato una settimana — la sensazione che ogni quartiere fosse una grande città, tutte diverse l’una dall’altra. Di Pechino il grigio del cielo e la difficoltà di incrociare gli sguardi delle persone. Di Tokyo la sensazione di non riuscire quasi mai a entrarci in profondità: percepivo tracce di autenticità, non riuscivo quasi mai a seguirle tranne quando ho trovato una anziana signora che preparava ravioli a Yanaka. Di Ulaanbator l’anonimato di vuoti centri commerciali e la sensazione che di una grande città, forse, in Mongolia se ne poteva fare a meno. Di New Delhi un po’ di insicurezza, o forse era solo la mia reazione alla troppa intensità. Di Singapore, invece, ricordo poco, nonostante ci sia stato per più di tre mesi: la città-Stato non ha spazio per i margini.

Tokyo (2019), attraversamento pedonale di Shibuya

Proprio di questo fascino magnetico parla Vita segreta delle città, uno splendido libro che — non a caso — mi ha consigliato anni fa uno dei tre autori di Città dal Futuro, Matteo Brambilla.

Di questo grandi città però, in fondo, ne sono stato solo un esploratore temporaneo (in bicicletta, a piedi e coi mezzi pubblici) e quasi mai un abitante. A Milano, invece, sono nato e cresciuto, ci vivo ancora oggi e negli anni ho conosciuto tre dei suoi diversi volti:

  • La città privilegiata in cui sono cresciuto, tra famiglia, buone scuole pubbliche, amici, weekend nelle seconde case. Non la città del lusso — a quello non ho mai avuto accesso, e va bene così — ma sicuramente una città facile.
  • La città invisibile in cui — un po’ per caso — ho iniziato il mio percorso di attivismo civico, con un’associazione che aiuta bambini e famiglie, spesso di origine straniera, in condizioni di marginalità economica e sociale. Entrarci è stata una scoperta, varcando portoni non lontani dal centro sembrava — e sembra — davvero di stare in un’altra città.
  • La città pubblica, che si compone del protagonismo delle sue forze sociali ed economiche e del Comune di Milano (la città amministrata), dove per 5 anni ho lavorato confrontandomi con due facce opposte. Lo sport, il verde, il tempo libero: la città delle opportunità, del protagonismo civico, dei giardini condivisi e degli eventi sportivi nelle piazze. Le case popolari e il piano periferie: la città del bisogno, delle rivendicazioni, dell’auto organizzazione, della richiesta di aiuto.

Ho capito, quindi, che le città hanno una forza attrattiva diversa a seconda del punto da cui le si osserva. Eppure un punto in comune c’è: le città ci attraggono per la loro densità, cioè per la concentrazione di persone in una dimensione spaziale contenuta. Persone che per la maggior parte non conosciamo e che possiamo incontrare casualmente, senza un motivo predefinito. Incontri che possono portare, per esempio, alla nascita di nuove idee, a nuove relazioni, a nuovi lavori, a nuove opportunità. Dal mio personalissimo osservatorio degli ultimi mesi, le connessioni virtuali non potranno mai sostituire la potenza generativa di un incontro di persona. Virtualmente possiamo “mantenere”, oppure possiamo costruire su una base già esistente, difficilmente riusciamo a creare — insieme a delle altre persone — partendo da un foglio bianco. Se, come credo, incontrarsi è necessario per progredire e immaginare un futuro migliore, le città non perderanno la loro forza attrattiva in seguito alla pandemia.

Milano (2018), l’incompiuto Laboratorio di Renzo Piano nel quartiere Ponte Lambro

Certamente, la temporanea crisi delle città (fallibili per definizione, in quanto complesse) apre una finestra unica per ripensarle, correggere quelle storture che iniziavano ad apparire sempre più evidenti. Partendo da alcuni assunti, eccone tre:

Una città non può crescere all’infinito. E’ verosimile che Milano, esaurito lo shock pandemico, arriverà a un punto in cui dovrà trovare un equilibrio, in cui sarà costretta a scegliere tra chi è dentro e chi è fuori, se espellere chi ora ci abita oppure se deliberatamente rallentare la sua crescita economica, governandola, rimanendo quindi una città inclusiva per diverse fasce sociali. Per evitare di arrivare a quel punto di rottura occorre una sapiente pianificazione multidimensionale, che tenga sempre insieme la dimensione spaziale con quella sociale. Di questo Città Dal Futuro parla molto e bene nel capitolo 3.

L’amministrazione pubblica, nella propria azione politica, deve sempre porsi il tema di “quale città” sta cercando di raggiungere con le diverse misure che introduce. Vi faccio alcuni esempi. Il massiccio programma di riqualificazione delle case popolari usa risorse della collettività per migliorare la qualità della vita di quella fetta di città, e di cittadini, che si trova in stato temporaneo di bisogno. Piazze Aperte — il recente progetto di pedonalizzazione e rifunzionalizzazione di alcune piazze della città — è un intervento molto democratico che potenzialmente riguarda tutte e tutti, con una particolare attenzione a chi dispone di meno spazio privato (cioè chi abita in case più piccole). La scuola dei Quartieri cerca invece di intercettare quelle specifiche persone, o piccoli gruppi, che hanno un’idea e cercano consigli, stimoli e le prime risorse per avviarla. Non è questa la sede per continuare a elencare singoli progetti, ma la questione di fondo resta la necessità di identificare in modo chiaro le diverse condizioni economiche delle persone che costituiscono i beneficiari dell’azione pubblica. Su questo in Città dal Futuro sipotrebbe inserire un ulteriore layer di analisi, adottando l’approccio dell’intersezionalità: con quale lente stiamo guardando la città? Da quale prospettiva socio-economica? Non solo a chi interessano le politiche pubbliche, o per chi nascono le politiche pubbliche, ma anche con chi immaginiamo la città del futuro, chi si incarica dell’atto stesso di reinventarla?

La città è il luogo dove l’incontro casuale può generare sogni e un altro dei ruoli che un Comune, per me, deve saper svolgere è quello di community organiser. Alessio Baù — ne “La Città dal futuro è quella felice” — parla di benessere, natura, appartenenza e fiducia come elementi cruciali per costruire felicità pubblica e io sono molto d’accordo. Aggiungo che la città amministrata (cioè il Comune) deve per me istituzionalizzare la propria missione di connettere comunità. L’amministrazione non può più agire solo verticalmente con progetti propri (es. la costruzione di una metropolitana), o fissando le regole per l’iniziativa privata (es. il Piano di Governo del Territorio), ma deve anche prendere coscienza del ruolo unico che può svolgere come parte imparziale che abilita e connette “pezzi” diversi di città, facilitando proprio la creazione di sogni condivisi, di senso di appartenenza, generando fiducia nei confronti del ruolo del pubblico. Esempi di questa funzione sono, per esempio, il programma Manifatture Aperte o — tornando qualche anno indietro — le prime edizioni di Green City Milano. Serve sentirsi coinvolti e coinvolte in qualcosa di più grande, di condiviso, per sentire di poter fare ciascuno/a la propria parte nel creare una città migliore e più giusta.

Ci sarebbe molto altro da dire.
A Milano ci aspettano lunghi mesi di campagna elettorale: nel nostro campo (quello del progressismo e della giustizia sociale) la candidatura a Sindaco sembra ci sia già. Il resto è invece tutto da costruire, la città dal futuro può ancora essere disegnata.
Facciamoci avanti, allora
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Tommaso Goisis

Based in Milan for the time being. Policy maker, stakeholders manager, I'm fascinated by cities and by powerful stories.